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Il Mondo Nuovo

A poche ore dall'uscita dell'album la nostra recensione

Di Benito Carrozza

Parliamoci chiaro, tutti coloro che hanno seguito le vicende de Il Teatro degli Orrori in questi anni, tra cambi di line-up e successivi retrofront, si aspettavano un ulteriore addolcimento del sound ascoltato nel pluripremiato A Sangue Freddo a sua volta più docile del precedente Dell’ Impero delle Tenebre, vuoi per le dichiarazioni stesse della band, vuoi per un continuo ribadire che la componente noise sarebbe stata sempre meno presente. L’ uscita del singolo in anteprima Io Cerco Te sembrava confermare tutti questi “timori”, la facilità del ritornello ed una impostazione vocale troppo “orecchiabile” oscuravano le comunque potenti chitarre alle orecchie dei fan. Ebbene, da questo terzo album quello che invece viene fuori è una sorta di “compromesso storico” tra i primi due lavori, sia dal punto di vista musicale che da quello lirico, ed è al contempo qualcosa di assolutamente nuovo pur nel rispetto del loro marchio di fabbrica. Tanto per iniziare la violenza e l’importanza del basso di Giulio Ragno Favero riprende, all’interno della architettura delle canzoni, lo spazio vitale che gli spettava e che sembrava dovesse essere accantonato in favore di un suono più corposo e unitario, ma basta ascoltare Non vedo l’ora per rendersene conto.

La potenza euforica sprigionata da Rivendico, non a caso prima traccia dell’album, viene filtrata prima in Martino, poi riscritta dalla chitarra di Egle Sommacal (Massimo Volume) in Dimmi Addio, sino a diventare straziante in Skopje. Lo stile è indistinguibilmente quello che ha caratterizzato la band veneta in questi ultimi anni, quello di un rock sì molto duro ma non più rumoroso alla Jesus Lizard e lo si nota anche nel crescendo di Pablo e di Doris (reinterpretazione dell’ omonimo pezzo degli Shellac).
Ma come queste tracce ci possono risultare familiari, in altre invece c’è stata una chiara ricerca al fine di portare il suono “oltre”. Ion sembra un pezzo tratto dal disco strumentale “Allusioni” (Niegazowana Records) del chitarrista Gionata Mirai ma con l’aggiunta di una soluzione vocale ovviamente firmata Pierpaolo Capovilla, mentre a distinguere Monica ci pensano gli archi di Rodrigo d’ Erasmo (Afterhours). E se la commovente Cleveland-Baghdad inizialmente ci riporta alla mente il mai abbastanza compianto De Andrè seppur con un finale assolutamente distorto, è in pezzi lunghi come “Nicolaj” e “Adrian” che le atmosfere, struggenti nel primo caso e tetre nel secondo, si fanno pesanti prima di concludersi con la strana quiete new wave di “Vivere e Morire a Treviso”, traccia finale di questo lunghissimo (parliamo di quasi 70 minuti) lavoro. Menzione a parte meritano Stati Uniti d’ Africa dove a fronte di un riff di chitarra particolarmente curioso si presenta una sperimentazione etnica forse troppo artificiosa, e Cuore d’ Oceano dove Caparezza e Capovilla spaccano in due il pezzo usando metriche e testi completamente differenti nel rispetto del proprio stile, il tutto magistralmente unito dalla pressante e cupa regia elettronica degli Aucan. E’ un album dove le quattro forti e distinte personalità che compongono la band si fanno sentire restituendo all’ascoltatore un energia più fredda e ragionata che in passato.

Finire una recensione di un disco de Il Teatro degli Orrori senza entrare nel merito dei testi del suo cantante e frontman sarebbe da incoscienti e più che soffermarmi sulla tensione politica più volte rimarcata in tutte le interviste, presentazioni e nelle stesse recensioni di altre testate, mi voglio soffermare su quella poetica. Da questo punto di vista Pierpaolo Capovilla riesce a sintetizzare quello che era il profondo ed intimo cripticismo del primo disco con l’esplicita protesta socio-politica del secondo, tenendo in mano il filo conduttore di un concept album sull’immigrazione che unisce tutte e sedici le tracce senza ridondare o perdersi in prediche. Sono liriche mai consolatorie, di vite tanto maledette quanto piene di speranza.

Arriviamo alla conclusione potendo affermare che Il Mondo Nuovo riesce nella difficile impresa di non deludere i fan della prima ora ed al contempo di soddisfare le le esigenze artistiche proprie della band ormai al suo terzo lavoro full-length con coraggiose sperimentazioni che comunque non escono mai, o quasi, dal seminato. La cura nella produzione (dello stesso Giulio Ragno Favero) e nella registrazione (effettuata presso gli studi SAM di Lari) raggiunge importanti vette di eccellenza, ed è l’ennesima prova di come anche un disco indipendente possa avere cura di quei particolari spesso trascurati in questo ambiente, fermo restando che il vero banco di prova rimane principalmente il live, ed è nella mischia che aspettiamo il concerto del 19 Aprile al Livello 11/8 in quel di Trepuzzi.

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