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L'ultimo urlo del rock

Di Luca Cossa

Forse è il suono graffiante delle chitarre, forse il ritmo scatenato della batteria o del basso che riempie le casse, forse il messaggio che risveglia le coscienze, sta di fatto che, per una qualche ragione, il rock è stato il marchio di fabbrica delle ultime generazioni. Dai nostri padri fino a noi sono arrivati i riff di capolavori senza tempo come “Smoke on the water” o gli arpeggi incantati della chitarra di David Gilmour. Milioni di giovani continuano ad ispirarsi e ad emozionarsi con miti e leggendarie rockstar appartenute ad un passato ormai tramontato.

Ma cosa rimane dei nostri giorni? Chi o cosa potrebbe sostituire quei giganti della musica che amiamo anche se non abbiamo vissuto in pieno? I grandi del passato hanno saputo essere le colonne sonore di un epoca che si lasciava alle spalle i duri anni del dopo guerra e si avviava verso una nuova realtà sull’onda del boom economico di quei tempi. Ma ora i giovani, che trovano ragioni per nuove proteste, si trovano senza nessuno che racconti di questa esperienza. E il silenzio del rock è assordante, via via più profondo, un segno sempre più vero di quanto lo strapotere del pop commerciale abbia ormai invaso lo scenario delle top ten mondiali.

“Ogni tanto arriva un forte acuto dai soliti noti come Springsteen, Radiohead, Muse, ma ormai sembra che la marea del disimpegno musicale sia forte e inarrestabile. Anche i centinaia di gruppi emergenti, che cercano di farsi strada nell’underground delle etichette indipendenti, ormai assumono un profilo basso, senza avere la pretesa di dare voce ad alcunché, figuriamoci di esprimere, attraverso la loro arte e creatività, canzoni da respiro generazionale” (Gino Castaldo, Il grande silenzio del rock, Questa volta è finita davvero, La Repubblica).

La musica sembra lontana da quegli ideali che hanno ispirato milioni di giovani, più orientata verso l’idea di un intrattenimento spensierato, un divertimento trasgressivo e licenzioso. Quali sono le ragioni da addurre a questa deriva canora? È verosimile che il rock abbia esaurito il suo compito e che sia stato tutto detto o fatto? Penso che anche la realtà musicale sia figlia di questa società troppo stanca e impregnata di un falso moralismo, incantata dall’idea di un facile successo, di una vita di sola apparenza, dove la musica ha il solo scopo di accompagnare in sottofondo serate vuote, alla ricerca di effimere emozioni.

Credo, tuttavia, che l’arte e la musica siano connaturate con la stessa esistenza dell’uomo, che le trasformazioni e cambiamenti siano necessari per adattare nuove forme di creatività a nuovi contenuti concettuali e che alla fine di un genere debba necessariamente seguire la nascita di un’ alba musicale. Forse noi ci troviamo proprio nel mezzo di un cambiamento, in attesa di qualcosa che ci riaccenda gli animi e ci rifaccia bruciare il sangue, affamati di nuovi miti che diano sostanza ai nostri pensieri. C’è chi dice che il Grunge sia stata l’ultima grande esperienza e che sia tutto finito con i Nirvana, io spero solo che quello di Kurt Cobain non sia stato l’ultimo urlo del rock.

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